Fermarsi per vedere dove si sta andando, per ricordarci chi siamo in questo viaggio che continuamente ci fa cambiare, come in una danza in cui ogni passo ci avvicina o ci allontana dalle nostre parti più essenziali.

venerdì 24 giugno 2016

Paolo e Giacomo- storia a tre puntate tra le maglie della relazione terapeutica

Prima puntata:

"Ecco!"


Paolo: “Ecco il mio camice!" Stamattina sono arrivato prima del solito… Ho iniziato la giornata con calma questa volta e mentre percorrevo la strada che da casa mi porta in ospedale pensavo al percorso che mi ha portato qui… ai miei genitori, ai miei studi, alle persone incontrate fino ad ora. Pensavo alla responsabilità di ogni giorno verso la salute mia e dei miei pazienti…
Questo pensiero mi rende fiero di solito, a volte invece ne sento la pressione…
Eccomi arrivo. C’è tanta gente che aspetta di essere visitata. Arrivo. Ci sono i miei colleghi: qualcuno è mio compagno di viaggio da tanto… qualcun altro da poco.  Qualcuno in reparto ha sicuramente già iniziato ad accogliere i pazienti.
Li incontrerò piano piano, una persona per volta…
Tante persone le conosco già altre le vedo per la prima volta…
Le cartelle, i vetrini, gli esami  mi danno un’idea che si forma a partire dai miei studi e mi presenta chi incontrerò…
Poi ci saranno gli occhi, i volti, la corporatura, i movimenti, il respiro…
Sceglierò il da farsi in base alla mia esperienza  e a quella dei miei colleghi, alle linee guida nazionali e internazionali.
Ma in fondo so bene che quando incontro le persone, quando per la prima volta incontro una persona, è sempre un’esperienza molto importante per me, per la mia storia e per la mia professione.
A volte sono sereno, come stamattina, a volte sono teso, a volte sono preoccupato…
A volte riesco a meditare sulle parole che uso, a volte vado di fretta…a volte sono toccato da chi incontro a volte me ne sto distante. Provo a fare del mio meglio
Ecco TUTTO è pronto… ora mi presenterò e… PREGO! AVANTI


Giacomo: “Ecco gli esami!“Ecco gli esami!”. Li ho in mano, ho portato tutto? L’impegnativa è qui, il foglio delle firme è qua. Sono a digiuno ma non importa…  stamattina mi sono alzato presto…: temevo di arrivare in ritardo. Stanotte ho dormito male… è da ieri che sono un po’ agitato.
Mia moglie dorme accanto a me… Anche lei ha chiesto un giorno di permesso per domani. Sono contento che riposi. Vorrei parlarle. Non voglio che stia in pensiero. Anzi mi farò vedere rilassato perché stia tranquilla… devo dormire devo dormire… niente.
Il mio medico di famiglia mi ha mandato qui. Non so chi incontrerò… cosa mi chiederanno? Saprò rispondere? Faranno stare mia moglie con me? Potrò chiedere qualcosa? Il medico sarà gentile? Avrà tante di quelle cose da fare! Guarda come corrono… che ore sono? Potrò chiedergli qualcosa? Mi darà il foglio per il lavoro? Dovrò chiedere a lui o a qualcun’altro? Scusi … devo consegnare questo…Mi sento un po’…. Come mi sento…? Me lo chiedo da un po’… ecco tocca a me…Ora mi presenterò e … PREGO! AVANTI!



Seconda puntata


"Oggi ho saputo che"- In tre parti

 
I parte: il medico "Oggi ho saputo che"

Ecco, oggi il quadro è completo. Oggi è possibile iniziare con la terapia, prima però dovrò parlare al signor Giacomo della diagnosi.
Per avviare il protocollo ho da prendere il modulo del consenso informato. E’ importante che lui sappia, si ritiene che così aderisca meglio al piano terapeutico. Almeno questa è l’indicazione generale…
É suo diritto sapere. É un dovere per me informarlo.
É suo diritto, anche, essere informato in un modo tale che gli permetta di vivere al meglio il percorso di cura.
É un dovere per me informarlo gradualmente rispettando i suoi tempi di elaborazione per agevolare il rapporto con la terapia: i farmaci, i controlli frequenti…
Io e il signor Giacomo ci siamo incontrati alcune volte in queste settimane per valutare il suo stato di salute. Avevo un sospetto e ho indagato per verificare se fosse fondato. Ho cercato di tenere aperte le ipotesi con lui e tra me e me, in modo da parlare poi più chiaramente con la proposta di terapia in mano.
In questo modo mi sento più efficace e ho più strumenti di rassicurazione durante il colloquio.
Certo, ogni volta devo fare un bel paio di respiri.
A volte provo a sentire come sarebbe per me stare dall’altra parte e diventa troppo faticoso gestire le emozioni che arrivano una dopo l’altra o tutte insieme. A volte invece ho coscienza di avere una persona davanti, con la sua storia, diversa dalla mia e che quella persona ha il suo proprio modo di stare, di domandare o di stare in silenzio, di avvicinarsi e di allontanarsi.
A volte la coscienza di questa differenza aiuta, altre volte è di ostacolo… non so perché…
Ma quante storie… di’ la tua scoperta e la tua soluzione e finiscila qui. Durerà un attimo, non te ne accorgerai nemmeno e poi arriverà il prossimo e poi tornerai a casa…
No, aspetta… sono un medico… lavoro con la mia persona, con le mie mani, con i miei occhi, con la mia memoria, con la mia passione, lavoro con le persone, non solo con il loro corpo… sono una persona in equilibrio dinamico tra malessere e benessere… e incontrare le persone e sostenerle nella loro ricerca di un equilibrio dinamico tra benessere e malessere è il lavoro che ho scelto di fare quando ero un ragazzo e qualcuno, appassionandomi, ha sostenuto me in questa ricerca.
Userò uno dei modelli di comunicazione che ho imparato… mi aiuterà con le mie emozioni e a non confonderle con quelle della persona che ho davanti stamattina, il signor Giacomo, e che mi aspetta già.
Ecco:
a) scelgo lo spazio migliore a disposizione per poter ascoltare
b) cerco di capire cosa sa il paziente, che idea si è fatto del suo stato di salute
c) indago il bisogno del paziente di essere maggiormente informato e in base a questo metto a disposizione le informazioni
d) accetto e incoraggio l’espressione e la verbalizzazione delle emozioni
e) do spazio alle domande
f) chiedo al paziente di riassumere quanto condiviso
So che la comunicazione è un processo e quindi che dovrò ritornare sull’argomento più volte in seguito. La presenza di un familiare, se il paziente la vuole, gli servirà a condividere poi le informazioni e completare i pezzi non colti sul momento.
Ecco, ci siamo, AVANTI!




II parte: l’infermiere "oggi ho saputo che"

Oggi è arrivato il signor Giacomo. É da un po’ che ci vediamo per i prelievi e gli esami diagnostici di routine.
Non so nulla di cosa oggi il medico gli dirà. Sono un po’ preoccupata… abbiamo parlato tante volte.
É molto gentile, ha due bambini dell’età dei miei nipotini. Spero che vada tutto bene.
Forse lo rincontrerò per la terapia… molto probabilmente mi chiederà di avere delle delucidazioni su quanto gli ha detto il medico. Spero di avere in tempo qualche notizia per poter svolgere al meglio il mio ruolo che mi impegna ad avere una relazione interpersonale terapeutica con il paziente.
A volte dal colloquio con il medico i pazienti ricavano pochissime notizie e anche confuse. So che è naturale. Soprattutto alla comunicazione della diagnosi. E’ allora che noi infermiere risultiamo più accessibili per il procedere dell’elaborazione delle informazioni e dell’esperienza in corso…
Gli scambi con noi sono più frequenti: l’appuntamento telefonico, il prelievo, la chiamata alla visita, la somministrazione della terapia, la medicazione, l’aggiunta di un farmaco, la dimissione… Si entra e si esce dalla stanza e ad ogni contatto può emergere una domanda, un dubbio… o può venire fuori un racconto, una confidenza…
A volte tornando a casa non posso non pensare alle persone che ho incontrato e che rivedrò a breve e spesso per lunghi periodi.


 III parte: il paziente "oggi ho saputo che"

Ecco ci siamo. Sono qui con mia moglie anche stamattina. Questa sala mi sta diventando familiare. Gli esami da fare li ho fatti. Oggi dovrò incontrare il medico. Non so se lei potrà entrare. Non so se voglio che entri. Non so se capirò bene… se potrò chiedere, fare domande… hanno sempre tanto da fare… ci sono tante persone intorno a me. Qualcuno è già stato chiamato alla visita, qualcuno attende di essere chiamato per i prelievi. Mi pare anche che molte di queste persone in attesa siano amici e familiari….
Ho preso il giornale per far passare questo tempo. Mia moglie nel mentre cerca su internet qualche articolo utile per la ricerca di storia di nostra figlia. Questo tempo senza sapere, fatto di analisi e ipotesi è stato molto faticoso. Ho dormito poco. Mi sono sentito in allerta. Spesso non ho riposato bene. Oggi saprò cosa mi sta accadendo e come dovrò curarmi. Mi sento un pò confuso. Come se avessi perso la sicurezza… la conoscenza del mio corpo. Sarà che ho dovuto sospendere le mie abitudini e concentrarmi sulla mia salute. Cosa che ho fatto raramente fino ad ora. La mia salute è stata lì presente senza che ci facessi tanto caso.
Stiamo uscendo da un periodo difficile. Abbiamo curato i nostri genitori e una nostra parente a cui eravamo molto affezionati e anche lei è venuta a mancare. Ma ci stiamo riprendendo piano piano. Siamo abbastanza sereni e in questo periodo siamo stati più vicini e io e mia moglie abbiamo parlato tra di noi, come non accadeva da tempo presi dagli impegni di tutti i giorni. Sì forse sarebbe meglio che entrasse anche lei. Se è possibile chiederò che entri.
Avanti signor Giacomo! La guardo mia moglie, ci alziamo, entriamo.



sabato 18 giugno 2016

Psiconcologia e approccio sistemico-relazionale

Fermarsi per capire chi siamo…



Prima dell’incontro 

Martina: Domani ci sarà il gruppo con gli operatori, la psicologa ci farà sedere tutti intorno per parlare di un caso del reparto o di un argomento che necessita di essere approfondito. “Approfondito”, questa parola mi dà un senso di pesantezza allo stomaco. Stare lì, davanti a tutti, a parlare di me in una situazione così critica, non vedo a cosa possa servire! Con tutte le cose che abbiamo da fare poi! Non so se parteciperò, sento un po’ le altre…
Ciao Paola, ti sei iscritta al gruppo di domani?

Paola: Si mi sono iscritta, è importante partecipare a questi incontri, una chiacchierata fa sempre bene! 

Martina: Beh si ma con tutto quello che c’è da fare…e Cristina, tu parteciperai?

Cristina: Certo che sì, ne ho proprio bisogno, è due settimane che aspetto di parlare con la psicologa! Fosse per me ci andrei ogni giorno! Spero che partecipino tutti perché queste sono occasioni importanti di confronto. Ogni volta succedono le cose e facciamo finta di niente per poi ritrovarci sempre nella stessa situazione…c’è bisogno di fare un po’ il punto!

Martina: Sì può essere utile, anche se poi con i pazienti cambierà poco… 

Psicologo: oggi ci sarà l’incontro con il gruppo di operatori, sono molto emozionato, chissà in quanti parteciperanno e quali emozioni forti oggi caratterizzeranno il gruppo. Spero di riuscire ad accoglierle e far sì che i partecipanti possano elaborarle, condividerle, in modo che si facciano più nitide e si eviti che offuschino il nostro cammino in reparto. La con-presenza ci permetterà di utilizzare al meglio le risorse, uno sguardo più interno, che colga il calore nelle relazioni con gli altri operatori, e uno più esterno che possa meglio osservare la coreografia che si crea in questo movimento tra dentro e fuori, nell’incontro costante tra sé e l’altro, in quel luogo in cui è così difficile stare, quel luogo in cui nulla si fa e proprio per questo qualcosa accade. 

Giomaria Peddio


venerdì 17 giugno 2016

La Casa Ail e la notte di Natale


Benvenuti in questo spazio, frutto della collaborazione con Pietro (dott. P.M. Soddu) che ha costruito l'architrave di questo Blog, e che sempre, con un gesto di amicizia, mi accoglie in Casa Ail il giovedì mattina; e con Giomaria (dott. G. Peddio) che, con la sua frequenza puntuale e partecipata, ha coinvolto nel lavoro la IEFCOSTRE: Scuola di Specializzazione in Psicoterapia Sistemico-Relazionale fondata dall’amatissimo Prof. Luigi Onnis salito su una stella della notte di Natale.

Aggirando l’edilizia, e i processi psicologici di attribuzione dei locali in Ospedale, abbiamo ricavato questo luogo virtuale per parlare insieme di psiconcologia e di psicologia sistemico-relazionale.
Abbiamo voluto un posto per il racconto di chi vuole condividere la propria esperienza attraverso la scrittura partecipata.
Verranno proposti qui di volta in volta dei temi sui cui riflettere insieme. I messaggi verranno pubblicati e curati da me, Daniela Seddone, psicologa dell’Ail per il reparto di Ematologia di Nuoro,  e da Giomaria Peddio nell’ambito della convenzione tra l’Associazione e la IEFCOSTRE.

Nota: Dal 2007 è presente il servizio di Psicologia nel Reparto di Ematologia, inizialmente grazie alla Federazione Nazionale delle Associazioni di Volontariato in Oncologia (Favo) con cui l’Ail di Nuoro è federata; in seguito e  fino ad ora ciò è stato possibile grazie al contributo dell’Azienda Sanitaria e, soprattutto, dell’Ail di Nuoro.








Storie e ri-storie


“Ma, mamma perché raccontiamo le storie?”
“Chi Anna?… raccontiamo chi?”
“Io e te mamma… Perché le raccontiamo le storie?”
“Non ti piace più piccolina mia?”
“No, anzi mamma: mi piace mooooltissimo..”
“Mamma…”
“Sì”
 “Ti ricordi di quando ero in quella storia che mi ha raccontato babbo… che eravamo al mare e che tu trovavi una conchiglia magica? Eh: io ero molto contenta che l’avevamo trovata. E perché l’abbiamo raccontata?”
“ Ah sì me lo ricordo quando eri in quella storia Anna. Era bella la conchiglia… Ed eri contenta?”
“Moltissimo! e poi era magica la conchiglia… poteva anche diventare di tutti i colori e io ero contenta perché anche io ero un’altra Anna al mare”
“Ecco, l’abbiamo raccontata perché così possiamo allenarci a raccogliere la magia delle conchiglie per quest’estate, e possiamo anche ricordarci che erano di tutti i colori, non solo di uno e poi anche perché tu sei molto contenta al mare e anche nelle storie del mare… ”
 “ e quando ero nella storia di Malefica che mi faceva paura e babbo l’ha sgridata? E poi io l’ho fatta sparire? Perché l’abbiamo fatta quella storia mamma?”
“eri spaventata?”
“prima sì perché le streghe sono bruutte e cattivone… poi però io l’ho fatta sparire e poi l’ho fatta diventare brava e obbediente e non ho avuto più paura di lei”



Parliamo di Psiconcologia. Perché le storie?
Possiamo scegliere altri modi altrettanto, e forse anche più, validi e chiari… Ma, perché, allora, anche le storie? 
L’idea da cui partiamo e che la complessità del nostro argomento sia altissima. Possiamo percorrere due strade:
 1. suddividere la complessità in elementi e coglierne le interconnessioni principali eliminando le informazioni di troppo che ci fanno distrarre e perdere di vista  la linearità delle leggi in campo;
 2. considerare il rumore di fondo, il chiasso sottostante alle informazioni, la molteplicità delle interpretazioni e le circuitazioni delle cause e degli effetti come fulcro della nostra osservazione. In questo caso anche il nostro osservare e il nostro non capire e essere disturbati o incuriositi dal rumore e dall’errore diventerà parte del fenomeno da osservare…
Quando decidiamo di raccontare delle storie propendiamo per la seconda possibilità.

Sono storie… non pretendono di esaurire tutto il campo delle descrizioni. Le storie scelgono un punto di vista e sciolgono la trama a partire da quello e proprio in questo sta il loro valore. Non chiudono, le storie. Ognuna di esse apre ad un'altra possibile e non del tutto prevedibile. In quanto aderenti a un punto di vista soggettivo, le storie non sono conchiuse, esse non sono necessariamente aderenti alla realtà ma sono, devono essere, coerenti al loro interno. Il vincolo a cui le storie per essere efficaci devono sottostare è interno ad esse: devono essere coerenti tra le loro parti.
Le storie hanno significato in quanto rappresentano un tentativo di riordinare la realtà costruendo un contesto per i significati di quanto in esse accade e sono dunque soggettive ma vincolate alla coerenza interna.
Quando questa coerenza interna non c’è più le storie si inceppano, il senso non si trova, la paura incombe e il rischio è di oggettivare e tralasciare il punto di vista, il rumore creativo… e di classificare e catalogare la vita intima e multicolore delle conchiglie magiche sulla spiaggia. Una delle classificazioni possibili è quella della diagnosi… della rilevazione del sintomo come rottura, guasto da riparare e non come unità di significato da disvelare.
Perché le storie? Perché quando la Psicologia incontra le persone non può esimersi dall’ascoltarle una per una e dall’usare le conoscenze che ha acquisito come mappa che aiuta a muoversi nel territorio, certo, ma che non è essa stessa il territorio. Il territorio chiede di essere conosciuto attraverso percorsi di senso fatti a piedi, lenti, legati alla materialità dei corpi e delle parole che ciascuno con le proprie scarpe, se le ha e se non le ha, traccia tra le foglie e la terra. E più si esplora il territorio della soggettività e più si trovano scorci impensati e cangianti e le possibilità di conoscenza, e di costruzione della conoscenza, si ampliano e si aprono a nuove possibilità di racconto.
Il racconto è lo spazio rispettoso di sé e dell’altro dove ciascuno può giocare a dire e non dire e a capire e non capire. Nel racconto il rumore è la risorsa soggettiva dove proiettare parti di sé. Come con le nuvole in cielo che cambiano forma, se ancora abbiamo la curiosità di guardarle. Cambiano forma le nuvole a  seconda che i nostri occhi siano bambini o adulti o anziani, a seconda che andiamo piano o veloce, che siamo tristi o allegri ed è nel racconto, nella condivisione della forma delle nuvole che prende piega la nostra esperienza e diviene comunicabile e trasformabile.
 Il compito… o  almeno uno dei compiti della psicologia come della psiconcologia è riaprire spazi di pensieri e di emozioni; è ampliare la gamma delle narrazioni sulla salute e sulla malattia… sulla vita e sui suoi sentieri mentali e corporei.
L’apertura della gamma delle storie possibili, dei mille finali, dei molteplici riavvii, rimette in mano la conchiglia multicolore  e fa  ri-creare e ri-co-costruire il senso di ciò che accade senza esserne travolti, o almeno, senza esserne travolti tanto a lungo da non sapere riprendere il filo del punto in cui ci trovavamo.