Fermarsi per vedere dove si sta andando, per ricordarci chi siamo in questo viaggio che continuamente ci fa cambiare, come in una danza in cui ogni passo ci avvicina o ci allontana dalle nostre parti più essenziali.

domenica 30 ottobre 2016

mercoledì 12 ottobre 2016

Racconti e incontri

Ecco ci siamo... 

il tirocinio di Giomaria (Peddio), l'incontro con Daniela (Ibba), tutta l'estate al lavoro e poi Patrizia (Idile) e Marialuisa (Rocchigiani) e naturalmente Lucia (Deroma). 
E poi la cena "silenziosa" a Cagliari; i contatti di Pietro (Soddu) con le sedi dell'AIL e poi noi con gli psicologi  che nelle sedi lavorano finalmente : compagni in attraversamento e sosta.

Ed ecco...ci siamo, sulla pietra alta...







lunedì 10 ottobre 2016

E i gruppi di parola?

“Ci vogliono i gruppi di Parola per i genitori, non giudici”
(Andrea, 9 anni – 2011)


 Abbiamo provato a ragionare insieme alla nostra collega Patrizia Idile sulla possibilità di applicare la sua esperienza ( principalmente con i bambini dei genitori separati) al contesto sanitario e in particolare a quello psicooncologico. Ne è uscito questo articolo secondo me molto interessante


“Lo so cosa sento… ma non voglio dirlo”.  È così che mi rispose un operatore al primo incontro del “Gruppo di Parola” e riuscì a sintetizzare tutto ciò per cui questi gruppi sono nati anche recentemente in Italia, dopo le esperienze di altri Stati europei (canadesi, francesi e anglosassoni in particolare).
Per spiegare meglio la funzione di un “Gruppo di Parola” e chiarirne la denominazione, può essere utile riprendere questo pensiero: molti studi recenti sottolineano il forte bisogno degli operatori sanitari in campo oncologico ed ematologico di mettere parola e ricevere parola nei momenti di traumatizzazione vicaria. La maggior parte di essi non viene formata e informata in modo adeguato sul trauma insito nella relazione di cura, sul senso dei cambiamenti intercorrenti nell’organizzazione delle cure,  e viene lasciata sola e all’oscuro, senza possibilità di parlare dei sentimenti e delle paure specifiche di questa posizione lavorativa ed esistenziale. 
Risulta che la maggioranza delle decisioni vengono calate dall’alto senza che le informazioni circolino paritariamente e facilmente  tra  i membri dell’equipe (medici, ma soprattutto infermieri, ausiliari, o
ss e personale delle pulizie che nei reparti ematologici stabilisce una relazione stretta con il paziente).
“Mettere parola” non è sempre facile così il Gruppo, composto da altri che vivono la medesima esperienza e condotto da una persona che viene percepita come “estranea”, può rappresentare uno strumento importante ed una opportunità preziosa per dare un nome a ciò che si prova e, soprattutto, per “autorizzarsi” a provare determinati sentimenti (dolore, rabbia, vergogna, tristezza, speranza, curiosità, etc.), esplicitandoli senza paura.
Occorre chiarire, come specificato dalla Marzotto (2010), che “[…] il Gruppo di Parola non ha finalità terapeutiche nel senso che non presuppone uno stato di malattia e la relativa necessità di un cambiamento […]. Non si tratta nemmeno di un gruppo di ri-educazione”
La prassi metodologica sperimentata a Milano presso l’Università Cattolica - Alta Scuola di Psicologia Gemelli è quella di:

-          4 incontri, di due ore ciascuno (di cui l’ultimo con i coordinatori o responsabili), con 8/10 partecipanti;
-          iscrizione condivisa dal direttore del servizio;
-          condivisione e trattazione degli argomenti più importanti attraverso l’utilizzo di emoticon*, cartelloni, letture, giochi, drammatizzazione, etc.;
-          redazione di una lettera finale da leggere l’ultimo giorno
-          una “ritualità” dei gesti che, nella ripetizione durante tutti gli incontri, rappresenta un quadro simbolico importante che “rassicura”;
-          il “patto di segretezza” tra conduttore e partecipanti che sugella la reciproca fiducia e che permette di poter esprimere qualsiasi opinione sulla propria situazione.


Spazio comune di sogno

                                         














È nell’incontro con l’altro che prende forma l’esperienza. In questo spazio così complesso, che comprende svariati linguaggi, si costruiscono i significati e si condividono i vissuti. Ma cosa succede quando si comunica con linguaggi diversi, quando le appartenenze sociali, famigliari, istituzionali, culturali e storiche si intersecano? Citando Gregory Bateson, padre del pensiero sistemico, possiamo dire che, cosi come “Il fiume modella le sponde e le sponde guidano il fiume”, noi stessi siamo allo stesso tempo frutto e radice dell’ambiente che ci vede in relazione. È in questo luogo di complessità che la psicologia Sistemico Relazionale trova terreno fertile su cui posare le sue lenti, per una osservazione che non è di certo neutra rispetto ai sistemi che osserva. È su questi presupposti che nasce l’esperienza delle “soste”, frutto della collaborazione tra l’A.I.L. di Nuoro e la IEFCOSTRE di Cagliari, Scuola di Formazione in Psicoterapia Sistemico Relazionale. Nell’incontro tra la Psiconcologia e la Psicologia Sistemico Relazionale, abbiamo tratto gli spunti teorici per l’organizzazione e la metodologia degli incontri d’equipe. Di seguito una descrizione schematica della struttura e funzione degli incontri:

Tempi e frequenza degli incontri:
Un incontro ogni ultimo martedì del mese, della durata di un’ora.

Modalità di iscrizione:
Per partecipare agli incontri si è chiesto agli operatori di compilare il modulo di iscrizione e inserirlo nell’apposito raccoglitore entro il giorno precedente all’incontro e a partire dalla data di affissione dell’avviso.

Num. Partecipanti:
Max 6 -8 partecipanti

Modalità di conduzione:
Co-Presenza di n.1 psicologa del reparto e n.1 psicologo della scuola di formazione in Psicoterapia Sistemico Relazionale. La psicologa conduce l’incontro, modera gli interventi e chiarisce le regole. Lo psicologo esterno osserva gli scambi e nella chiusura dell’incontro restituisce in forma narrativa la trama dell’incontro.

Fasi dell’incontro:
1.      Ognuno dei partecipanti può proporre un caso o un argomento da trattare
2.      Si procede con il racconto del caso da parte di un operatore e si chiede ai partecipanti di segnare su un foglio quella che si considera essere la parola chiave
3.      Ognuno nel gruppo è chiamato a riferire il racconto attraverso la parola chiave individuata e a ipotizzare quale sia la motivazione, la domanda o la richiesta che il collega fa attraverso l’esposizione del caso
4.      La persona che ha prima raccontato il caso e, poi, ascoltato i commenti, dirà come si è sentita durante l’ascolto e da che cosa è rimasta maggiormente colpita.
5.      Lo psicologo restituisce ai partecipanti il filo dell’incontro attraverso la restituzione orientata alle ridondanze che regolano la relazione nel qui e ora del gruppo.

Giomaria Peddio, Daniela Seddone